Nel rapporto psicoterapeutico ciò che conta di più non è nei principi del modello terapeutico somministrato o nelle “verità” cui esso si ispira, bensì nella capacità del terapeuta di fare realmente qualcosa di utile per il proprio paziente, anche a costo di mettere in gioco la sua credibilità e a farsi prendere per “pazzo” o essere confuso con uno “sciamano”.
Lo psicoterapeuta efficace non parla di “cambiamento”, ma lo realizza, facendo leva sulla sua capacità di immergersi nei modelli esperienziali sclerotizzati dei pazienti per poi restituirli a una nuova funzionalità che possa includere flessibilità e capacità di crescita.
In questo contesto operativo l’uso della metafora si è sempre imposto come “ars regia” per realizzare la ‘trasformazione’. Nel raccontare le sue storie, lo psicoterapeuta aggiunge nuovi dati, evoca nuove sensazioni, indica nuove esperienze. Un paziente che per anni si sia dibattuto all’interno di una visione della vita ristretta e oppressa dal senso di colpa, può trovarsi di fronte, attraverso questi racconti, una filosofia di vita permissiva, libera e trasgressiva rispetto ai suoi modelli disfunzionali. Questa nuova visione lo può raggiungere a vari livelli, tanto nello stato di veglia che in quello ipnotico.
A questo punto può accadere che il paziente scopra di non dover fare affidamento unicamente sui propri modelli di pensiero ben radicati e di tipo circolare: è da lì che inizia a cambiare…
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